Non volevo la trasfusione

La Repubblica 16/06/2001

"Non volevo
la trasfusione"
contagiata
dall'epatite

Chiede i danni all'ospedale

FRANCA SELVATICI

«Piangevo. Non volevo che mi facessero la trasfusione di sangue. Il 12 marzo '88 avevo avuto un incidente in motorino. Ero ricoverata al Cto con alcune fratture e dovevano operarmi. Per questo volevano fare le trasfusioni. Ma io ero disperata. Dicevo che non ce n'era bisogno, che ero sempre stata anemica. Avevo paura del contagio dell'Aids. Se proprio lo ritenevano necessario, volevo il sangue della mia mamma. Glielo dissi in tutti i modi ma non ci fu niente da fare. Mi fecero due trasfusioni. Un mese e mezzo dopo avevo l'epatite virale». Un'epatite del tipo C, indiscutibilmente trasmessa con il sangue trasfuso, che ha gravemente inciso sulla sua salute e sulla sua vita.

Quando si è ammalata, Cristina P. aveva 23 anni. Dopo questa drammatica esperienza ospedaliera, la malattia non le ha dato tregua. Finchè, nel '96, la signora ha deciso di fare causa all'ospedale. E così, che dopo il tragico impatto con la sanità pubblica, ne ha avuto un altro, non meno sconvolgente, con la giustizia italiana. La causa, che per due anni è andata avanti spedita, si è arenata nel '98, quando era pronta per andare a sentenza, nella palude dei processi assegnati alle sezioni stralcio. E da allora ammuffisce su uno scaffale del tribunale, in mezzo a mille altre storie di giustizia negata.
Cristina P. è ora una bella signora di 36 anni. Nonostante la malattia, si è sposata e ha avuto due bambini. Il virus si è trasmesso al marito e la bambina più grande è risultata positiva agli anticorpi dell'epatite C. Una cura a base di interferone ha determinato una grave forma di astenia e costretto Cristina ad abbandonare il lavoro. Il perito nominato dal giudice ha ritenuto indiscutibile il contagio dal sangue trasfuso infetto, ha riconosciuto che non vi era una condizione di urgenza acutissima ed estrema, perché i valori emoglobina non erano eccessivamente bassi. Ha detto che i medici fecero una scelta ponderata ma che ci sarebbe stato il tempo di testare il sangue. Sfortunatamente all'epoca non esisteva ancora un test per diagnosticare la presenza del virus C. «Ma io - ricorda Cristina - non volevo la trasfusione, o almeno volevo sangue sicuro, di mia madre». Il perito ritiene che la malattia le abbia causato una invalidità del 40%. Quindi le spetterebbe un risarcimento danni dall'ospedale. Ma mentre la malattia avanza, e ora ha attaccato anche la tiroide, la causa è sepolta dalla polvere.

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http://www.repubblica.it/quotidiano/repubblica/20010616/firenze/03ficena.html

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